La storia del buon Samaritano è un esempio eccellente per mostrare l’amore verso il prossimo. La religione cristiana è una religione dell’amore. Fin d’inizio, la Torah insegna ai fedeli ad amare Dio e il prossimo con tutta l’anima, con tutta la forza e con tutta la mente. In realtà, il contesto del buon samaritano capita spesso nella vita quotidiana, però oggi la società è diventata più complicata; quindi, anche per noi non è facile fare tutto come un buon samaritano.
Nella strada, nella metro, ci sono le donne che abbracciando i bimbi chiedono l’elemosina. Con i bimbi così carini e domandano. Tuttavia, non sappiamo se quella donna sia o no la vera mamma, oppure se usa i bimbi solo per guadagnare la compassione dei passanti. Vogliamo fare lo stesso come il buon samaritano, ma i dubbi ci fermano nel dare soldi, perché non sappiamo se la storia sia vera oppure solo un teatro manipolato da alcuni dietro.
Davanti alle genti che stanno chiedendo l’elemosina, ci vuole un discernimento spirituale, solo lo Spirito Santo può aiutarci nel giudicare se devo o non devo dare soldi a costoro. Forse, il minino che possiamo fare è una preghiera, una buona volontà verso questa gente, perché la più efficace soluzione in realtà sarebbe un lavoro normale per loro, cioè la possibilità di guadagnare soldi da sé. La grazia ha una dimensione sociale, e sempre in relazione, quindi oggi il buon samaritano indica una struttura della grazia, una società della grazia, dove ciascuno possa trovare aiuto essenziale e possa avere il diritto a un lavoro per il giusto guadagno.
«La fede in Cristo incarnato nella storia non solo trasforma interiormente le persone, ma anche i popoli e le loro culture» – san Giovanni Paolo II (marzo 1997). Quindi, oggi il buon samaritano, non solo dà l’aiuto materiale alla persona lungo la strada, ma lo aiuta anche a ricostituire la propria bella vita. Come diceva Peter L. Berger, «la società è in noi e noi siamo nella società». I problemi del sacerdote e il levìta, passando oltre l’uomo poveraccio, è che loro non sanno che la dimensione sociale è sempre dentro di noi. Come Paolo Apostolo diceva che siamo dentro il corpo di Cristo; quindi, quando una parte non vada bene, tutto il corpo soffre. Il prossimo fa parte di noi e noi facciamo parte del prossimo. Nessuno è una isola isolata (Thomas Merton). In realtà, il santo è un santo perché loro hanno più capacità di raccogliere le genti. La vita spirituale si gioca nella crescita della capacità dell’accoglienza.
Sophia Lilin Wu – studentessa della Pontificia Università Gregoriana, professoressa della Università degli Studi “Gabriele d’Annuncio” Chieti-Pescara.
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