Il Vangelo inizia con questa domanda dei discepoli “accresci in noi la fede!”… Quel punto esclamativo, ci dice di un grido degli apostoli, ma da dove nasce questa loro richiesta puntuale, precisa?
Lo comprendiamo se andiamo a vedere l’episodio subito precedente, sul perdono fraterno: “se tuo fratello pecca contro di te e si pente, perdonalo, e se lo fa sette volte e altrettante volte torna a te pentito, perdonagli”. Come fare, come è difficile. Quanto siamo fragili, ce la prendiamo a volte per dei piccoli, insignificanti torti, e facciamo fatica a superare, a perdonare: cosa ci manca, di cosa abbiamo bisogno? Da queste domande che saranno sorte nel cuore degli apostoli, segue la richiesta precisa “accresci…” Ci dice innanzitutto un primo aspetto importante: messi di fronte ad una difficoltà, come quella di dover perdonare sette volte, la risposta non è “non ce la posso fare”, ma mi fa prendere coscienza che la nostra fede, che pensiamo di avere, non basta. E mentre i discepoli pensano alla quantità, accresci, aumenta… Gesù sposta subito l’accento sulla qualità della fede, quella fede che benché grande come un granellino di senape, irrisorio, minuscolo tra le dita… permette di realizzare cose umanamente inimmaginabili, con l’esempio del gelso sradicato nel mare: come potrebbe vivere una pianta nell’acqua salata, segno dei miracoli che può compiere la fede.
Dobbiamo anzitutto chiedere ci “che cosa vuol dire avere fede” e ancora prima che cosa richiede il nostro aver fede, le nostre disposizioni ad accogliere la fede. Terminata l’omelia, reciteremo il credo, la nostra professione di fede: tante belle verità, e poi? Rimangono soltanto delle affermazioni? Se aumentare la nostra fede vuol dire aumentare la mia conoscenza delle verità su Dio, sul mistero di Dio, San Paolo ci ammonisce che “Se avessi il dono della profezia e conoscessi tutti i misteri e tutta la scienza e avessi tutta la fede in modo da spostare le montagne, ma non avessi la carità, non sarei nulla”: fede e amore devono andare insieme: se ho molta fede in Gesù, sono disposto a fare molto per lui per amore.
Pertanto la fede implica piena fiducia in Dio, pieno affidamento in lui: quello che sta vivendo il profeta nella prima lettura, che assiste intorno a sé a violenza, ingiustizia, rapina, contese: una realtà che non porta indifferenza — pensando alla guerra in Ucraina, la violenza contro civili, contro coloro che non vogliono la guerra e non per la pace ma devono subirla con tutte le sue conseguenze — e l’indignazione del profeta, che magari desidererebbe una risposta alla violenza con l’ira di Dio: invece è una risposta pacata, “scrivi…” non è indifferenza da parte di Dio, ma la certezza che mentre l’empio soccombe, il giusto vivrà per la sua fede.
Allora la fede è innanzitutto paziente; viviamo il tempo dell’attesa di una promessa che deve realizzarsi, compiersi, e fare di questa tempo un’attesa di fede… come la pazienza dell’agricoltore che semina “lui non lo sa, ma sia che dorme o vegli… il seme cresce, fino al raccolto”.
E nel frangente siamo chiamati all’obbedienza della fede, proprio con l’atteggiamento del servo inutile, raccontato da Gesù nel Vangelo. È quel servo che dopo aver fatto ciò che gli è stato chiesto, all’atteggiamento di chi non pretende nulla dal suo padrone: quello che per lui è importante è agire in fedeltà alla parola del suo padrone, per questo è “inutile”: nella sua discrezione, nel suo nascondimento, rimane fedele all’incarico che gli è stato affidato; perciò, non rivendica le avere meriti di fronte a Dio, ma è grato per tutto ciò che gli viene concesso.
Così deve essere anche la nostra vita di cristiani, modellata sull’esempio di Gesù che si è fatto umile, servo, nella piena obbedienza al padre, così anche noi siamo chiamati ad essere in ascolto della sua parola per crescere nella fede, accettando serenamente la volontà di Dio nella nostra vita.
Michele Messi – passionista
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