Il Vangelo odierno ci presenta una tema molto caro per i cristiani, la risurrezione. Possiamo anche dire che il carattere fondamentale del cristianesimo è la risurrezione. Il racconto del Gesù morto e risorto costituisce il nucleo della nostra fede. I farisei, un settore dei giudei, pensavano che la risurrezione dell’uomo sia come la vita di prima, quindi un ripetere la vita precedente: la nascita, la crescita, il matrimonio, la malattia, e la morte. Quindi, la vita dell’uomo è ancora Vita mortis. Come quel sadduceo domanda a Gesù che se una donna fu sposata con cinque fratelli, dopo la risurrezione, chi sarà il suo marito? Perché secondo lui, la vita futura dopo questa vita, sia tutto uguale a prima, senza novità. In questo caso, lui non soltanto comprende male il significato vero della risurrezione che è annunciato da Gesù, ma lo interpreta anche con il suo pregiudizio. Ma qual è il vero significato della risurrezione?
Gesù rispose loro: «i figli di questo mondo prendono moglie e prendono marito; ma quelli che sono giudicati degni della vita futura e della risurrezione dai morti, non prendono né moglie né marito: infatti non possono più morire, perché sono uguali agli angeli e, poiché sono figli della risurrezione, sono figli di Dio» (Lc 20, 34-36). Quindi, la vita dopo la risurrezione è completamente diversa rispetto la vita di prima. Anche per questo, p. Matteo Ricci disse a Buddisti: se c’è saṃsāra (reincarnazione) come pensa quel sadduceo, i santi non devono rimanere nella beatitudine eterna, e il paradiso non c’è più. Per quanto c’è la gioia e la vita eterna, c’è la vita nuova da attendere al di là; per quanto c’è l’intercessione dei Santi nei cieli, la vita dopo la risurrezione è una vita diversa e più beata.
Secondo Hans Urs Von Balthasar, le “cose ultime” sono già dentro di noi, come il paradiso e l’inferno, quanto meno la morte, che fa parte dell’orizzonte trascendente dell’esserci e il loro riverbero è immanente ad ognuno dei suoi momenti. Dunque, vedere escatologicamente, è come vivere nella vita terrena. Se il credo riguardo la risurrezione è uguale alla reincarnazione, la finitezza umana non è ancora superata. La vita diventa solo un ciclo della ripetizione, senza alcuna novità. Tuttavia, se il nostro credo riguarda la risurrezione come Cristo, morto e risorto, e risorto con una condizione più bella e divinizzato, avremo la gioia di costituire il paradiso anche in questo mondo. Perché Dio è la realtà ultima dell’uomo. La vita mortis dell’uomo va a Dio, l’uomo nasce per Cristo e per il suo inserimento in Cristo come membro del suo corpo mistico. Attraverso Cristo, l’accesso alla vita eterna di Dio è dischiuso, di più, la risurrezione di Cristo avviene dallo Sheol, laddove nell’inferno più profondo Cristo porta tutte le anime, specialmente i più bisognosi. «Dio non è dei morti, ma dei viventi». Nei questo evento simbolico, «avviene una realtà che unisce due realtà, una manifesta e l’altra nascosta, dove quella visibile è la carne di quella invisibile, e quella invisibile è il senso ultimo di quella visibile»[1]. Dio e il suo altro, Dio e la creazione, uno di fronte all’altra, come il cielo alla terra.
«La nostra patria – insegna l’apostolo Paolo – è nei cieli e di là aspettiamo come salvatore il Signore Gesù Cristo, il quale trasfigurerà il nostro misero corpo per conformarlo al suo corpo glorioso, in virtù del potere che ha di sottomettere a sé tutte le cose» (Fil 3,20-21).
«Con l’incarnazione il Verbo di Dio ha assunto la carne umana (cfr. Gv 1,14) rendendola partecipe, attraverso la sua morte e risurrezione, della sua stessa gloria di Unigenito del Padre. Mediante i doni dello Spirito e della carne di Cristo glorificata nell’Eucaristia, Dio Padre infonde in tutto l’essere dell’uomo e, in certo modo, nel cosmo stesso l’anelito a questo destino. Come dice san Paolo: “La creazione stessa attende con impazienza la rivelazione dei figli di Dio; (…) e nutre la speranza di essere lei pure liberata dalla schiavitù della corruzione, per entrare nella libertà della gloria dei figli di Dio” (Rm 8,19-21)»[2].
Sophia Lilin Wu – studentessa della Pontificia Università Gregoriana, professoressa della Università degli Studi “Gabriele d’Annunzio” Chieti-Pescara.
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[1] Rocca Paolo, Dell’altro. Tra parola e silenzio nel Vangelo di Marco, San Paolo Edizioni, 2021, p. 29.
[2] Giovanni Paolo II, Udienza Generale, Mercoledì, 4 Novembre 1998. https://www.vatican.va/content/john-paul-ii/it/audiences/1998/documents/hf_jp-ii_aud_04111998.html (l’ultimo accesso 01.11.2022).