Dopo quaranta giorni, arriviamo alla festa dell’Ascensione del Signore: come la sua venuta, così la sua partenza. Quando nella sua venuta, nel giorno di Natale, Gesù si era incarnato. La sua vicinanza è portatrice di una pienezza all’uomo, anche non si diminuisce la pienezza della Sua divinità. Lo stesso, quando avviene la Sua partenza, tornava al Padre Celeste. Lui pregava per la venuta dello Spirito Santo. La Sua partenza anche per noi, non sia un segno della lontananza, ma per una vicinanza più profonda. La sua venuta è per amore degli uomini di questa terra, e la sua partenza è anche ispirata dall’amore. Dopodiché, i suoi discepoli possono andare e fare discepoli tutti i popoli, e battezzarli nel nome del Padre e del Figlio e dello Spirito Santo.
Il monte simboleggia nella Sacra Scrittura, un luogo sacro, laddove l’uomo poteva parlare con Dio. Come il vangelo di oggi, «gli undici discepoli andarono in Galilea, sul monte che Gesù aveva loro indicato», anche se loro ancora stavano nei dubbi. L’amore significa la pazienza. Gesù non li allontanava ma si avvicinò loro. E di nuovo, donò la sua promessa, «io sono con voi tutti i giorni, fino alla fine del mondo».
Nei Atti degli Apostoli, si racconta che dopo l’ascensione del Signore, gli apostoli con Maria riuniti insieme, pregano lo Spirito Santo, affinché doni loro sufficiente virtù per essere testimoni della risurrezione di Gesù. Dunque, l’ascensione è seguita dalla festa dello Spirito Santo – la Pentecoste. Così, la nostra fede si unisce veramente alla Trinità: Padre, Figlio, Spirito Santo. Come commentato da S. Giovanni Paolo II, «La Chiesa primitiva capì subito queste indicazioni, ed ebbe inizio l’era missionaria. E tutti sapevano che quest’era missionaria non sarebbe finità fino quando lo stesso Gesù, che se n’era andato al cielo, sarebbe nuovamente tornato».[1] Con la risurrezione e l’ascensore del Signore, siamo entrati una fase più intima con Dio – «Dio è spirito, e quelli che lo adorano devono adorare in spirito e verità». Gesù ci lascia un modello di preghiera, anche un modello di amore. Soprattutto, ci guida sulla strada per unirci con il Padre e per tornare al Padre con tutta la serenità e la gioia. La morte non è più l’ultima parola per la vita dell’uomo. Dove c’è la morte, c’è la vita; dove c’è la vita, c’è la forza di una vita più bella, più simile Dio – nostra Immagine originale.
Il Taoismo per cercare la via dell’immortalità, usava l’Alchimia. Tuttavia, tanta gente morì a causa dell’Alchimia. Il cristianesimo supplicando lo Santo Spirito, considera la morte come un passaggio, la partenza come un nuovo ritorno. Forse, perciò, durante il funerale, i cristiani lo sperimentano come una benedizione con tanta serenità, mentre nelle altre culture, soprattutto in Asia, le genti portano tante grida, lacrime, più le emozioni che la ragione. La fede cristiana ci porta ad un altro modo di vedere la vita e la morte; la venuta e la partenza, l’unione e la separazione con Gesù, in Gesù e per Gesù. Quindi, il mistero dell’Ascensione del Signore è il cielo già aperto per tutti, come nel fiume del Giordano – durante il battesimo del Signore, lo Spirito scende su di Lui.
Sophia Lilin Wu – studentessa della Pontificia Università Gregoriana, professoressa della Università degli Studi “Gabriele d’Annunzio” Chieti-Pescara.
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[1] Giovanni Paolo II, Omelia di Giovanni Paolo II, Solennità dell’Ascensione di Nostro Signore, 24 maggio 1979, https://www.vatican.va/content/john-paul-ii/it/homilies/1979/documents/hf_jp-ii_hom_19790524_seminari-ingl-roma.html