Il mandato dei discepoli, come Padre ha mandato il Figlio, è un gesto simbolico dell’amore. Da questo gesto, possiamo anche vedere la somiglianza tra il Figlio e il Padre. Come in un piccolo paese, quando le genti vedono un bambino, subito possono sapere di quale famiglia è, si dice “tutto suo padre”. Lo stesso, Gesù realizzava il suo mandato, e rivelava anche chi era lui, la sua vera identità, e il legame indissolubile tra lui e il Padre celeste.
Come il mandato dal Padre veniva dall’amore, Gesù era spinto dalla compassione e misericordia profonda; perciò, chiamava i dodici discepoli come il Buon Pastore, per guidare le anime smarrite. Questo racconto era anche descritto dall’immagine della messe e degli operai; siccome la messe è abbondante e gli operai sono pochi, quindi ci vuole anche un mandato agli operai per raccogliere la messe.
Forse, nel contesto dell’istituzione religiosa, sembra più facile comprendere il significato divino del mandato. Ad esempio, quando domando ad un religioso, perché studia qualche specializzazione all’università pontificie, lui sicuramente ti risponde che perché è stato mandato dal suo superiore. Oppure, la risposta di un sacerdote, studia qui perché lui è stato mandato dal suo vescovo, così via dicendo. Tuttavia, nel contesto laicale, non è così facile usare “mandato” nella vita quotidiana, piuttosto tutto le nostre faccende sembrano soltanto dettate dalla scelta personale, per motivo di lavoro, per motivo di relazione, per motivo di famiglia, per motivo di salute, ecc. Max Weber, sociologo tedesco, una volta definiva la vocazione professionale anche come una chiamata, un mandato da Dio. Ossia, il lavoro non è soltanto un semplice lavoro, ma una risposta alla chiamata divina.
In Mt 9, 36-10, 8, forse possiamo anche chiarire che ogni miracolo, ogni merito, ogni viaggio, ogni impegno, tutto ciò è stato mandato “dall’alto”; senza Dio, senza colui che ci ha mandato, sembra che non sia possibile tutto quello che sta muovendo la nostra vita. Come la classica testimonianza di San Tommaso D’Aquino, per provare l’esistenza di Dio: tutto ciò che si muove o cambia è messo in moto da qualcos’altro e questa catena di movimento o di mutamento non può andare all’infinito, ma deve avere una causa prima, che è Dio. Quindi, dentro il visibile, c’è l’invisibile. Per alcuni una torta di compleanno è solo una torta, ma dalla perspettiva della persona che festeggia il suo compleanno, da quella torta può vedere l’amore della fraternità, l’amicizia, e il sostengo dalla famiglia e così via; cioè, può vedere “il suo mandato”.
In questo senso, il gesto di mandato è un gesto simbolico, che unisce due mondi: io e l’altro. Pertanto, il gesto di mandato è a tal fine un gesto d’amore. Se crediamo a questo punto, sarà più fattibile per noi di accettare tutto quello che stiamo sperimentano in questo momento, raccogliendo il mandato di amore con il cuore d’amore. Ecco la sapienza: accettare tutto quello che Dio ci ha dato con gratitudine e fiducia nel suo piano perfetto; essere prudente e consapevole che tutto quello che abbiamo non è per un nostro merito, ma tutto è come dono di Dio.
Sophia Lilin Wu – studentessa della Pontificia Università Gregoriana, professoressa della Università degli Studi “Gabriele d’Annunzio” Chieti-Pescara.