Il vangelo di oggi ci presenta una figura – una grande donna – che era disprezzata dai discepoli di Gesù, ma per la sua insistenza, che veniva dalla sua fede, finalmente riusciva a conquistare la guarigione di sua figlia dalla malattia. Gesù, anche come i discepoli, dapprima mostrava una disistima verso a lei e diceva «Non sono stato mandato se non alle pecore perdute della casa d’Israele» e «Non è bene prendere il pane dei figli e gettarlo ai cagnolini». Tuttavia, la donna non credeva che Gesù fosse un uomo senza misericordia e senza amore. Alla base della sua fiducia verso la buona volontà di Gesù, come anche la sua fiducia verso l’onnipotenza di Gesù come Figlio di Dio, lei continua a chiamarlo e chiedere un aiuto. Finché, Gesù la ascoltava e diceva, «Donna, grande è la tua fede! Avvenga per te come desideri».
In realtà, i miracoli e le grazie della preghiera non mancano mai nella storia della Chiesa. Ciò che è richiesto da Dio verso l’uomo, per cooperare all’opera salvifica, è la fede. Credere etimologicamente significa dare il cuore, e la fede vuol dire dare il cuore a Dio. Nella lingua ebraica, לֵב, indica una persona interiore e non soltanto la parte organica; quindi, la fede denota dare tutta la persona interiore a Dio. Allo stesso tempo, quando Dio è ancora in silenzio, è preferibile rimanere umili come quella donna, che paragonava sé stessa come dei cagnolini: «eppure i cagnolini mangiano le briciole che cadono dalla tavola dei loro padroni».
Come la mamma, una straniera per la casa d’Israele, l’amore eccezionale e naturale verso la figlia la spinge per cercare un’uscita. L’amore è un’altra virtù che piace da Dio, da essere posizionata come i primi due comandamenti: «Amerai il Signore tuo Dio con tutto il tuo cuore e con tuta la tua anima, con tutta la tua mente e con tutta la tua forza» e «Amerai il tuo prossimo come te stesso». Tanti anni fa, c’era una mamma che cercava di salvare il suo bimbo sotto un camion; riuscì a spostare il camion e il bimbo fu salvato.
Fede, amore e speranza, come tre virtù soprannaturali, che valgono la pena di nutrire per tutta la vita. Come San Giovanni Paolo II diceva:
«Si noti come nella narrazione evangelica è messo continuamente in rilievo il fatto che Gesù, quando “vede la fede”, compie il miracolo. Ciò è detto chiaramente nel caso del paralitico calato ai suoi piedi attraverso l’apertura praticata nel tetto (Cf. Mc 2,5; Mt 9, 2; Lc 5, 20). Ma l’osservazione si può fare in tanti altri casi registrati dagli evangelisti. Il fattore fede è indispensabile; ma appena si verifica, il cuore di Gesù è proteso a esaudire le richieste dei bisognosi che si rivolgono a lui perché il soccorra col suo potere divino»[1].
Dunque, «il miracolo è un “segno” della potenza e dell’amore di Dio che salvano l’uomo in Cristo. Ma, proprio per questo, è nello stesso tempo una chiamata dell’uomo alla fede. Deve portare a credere sia chi viene miracolato, sia i testimoni del miracolo»[2].
Sophia Lilin Wu – studentessa della Pontificia Università Gregoriana, professoressa della Università degli Studi “Gabriele d’Annunzio” Chieti-Pescara.
Fot. SplitShire
[1] Giovanni Paolo II, Udienza Generale, Mercoledì, 16 dicembre 1987. https://www.vatican.va/content/john-paul-ii/it/audiences/1987/documents/hf_jp-ii_aud_19871216.html.
[2] Ibidem.