Il Vangelo di questa domenica ci guida a riflettere di nuovo su una virtù fondamentale che è ci è stata insegnata da Gesù Cristo – l’umiltà. L’umiltà significa che una persona conosce i propri limiti e li accetta volentieri perché egli sa che l’uomo ha sempre la sua finitezza, e si rende conto che Dio è infinitamente più grande. Dunque, la virtù dell’umiltà aiuta l’uomo a sentire sicurezza di sé quando non riesce di gestire una situazione complicata, oppure non è capace di fare qualcosa fuori della sua portata. Non c’è bisogno di sentirsi inutili oppure non degni delle belle cose. Gesù, davanti alla folla e i ai suoi discepoli, prendeva gli scribi e i farisei come l’esempio per insegnare la serietà dell’umiltà.
Gli scribi e i farisei dicono ma non fanno. Tutte quello che fanno è solo per essere ammirati dalla gente: «allargano i loro filattèri e allungano le frange; si compiacciono dei posti d’onore nei banchetti, dei primi seggi delle sinagoghe, dei saluti nelle piazze, come anche di essere chiamati “rabbì” dalla gente». Ecco, loro pensano di sé stessi come destinatari della legge e ignorano la dimensione trascendente che è di Dio. Quando l’uomo dimentica o ignora Dio, si diventa arroganti – il contrario dell’essere umile. La conseguenza dell’arroganza è mettersi nella via della morte invece che nella via della vita. Come Adamo ed Eva lasciano Dio e agiscono secondo i propri desideri, e perdono anche quello cha hanno. Come gli ospiti alle nozze, quelli che iniziano a sedersi nei primi posti alla fine devono lasciarli, invece quelli che umilmente scelgono gli ultimi saranno invitati a stare nei primi (Lc 14: 1,7-11)
San Giovanni Paolo II nell’Evangelium Vitae menzionava due culture, la «cultura di vita» e la «cultura di morte». Secondo lui, quando l’uomo «smarrendo il senso di Dio, anche si tende a smarrire il senso dell’uomo». Quindi, quando gli scribi e i farisei si posizionano come “anti Dio” si posizionano anche come “anti uomo”. Perciò, loro «legano infatti fardelli pesanti e difficili da portare e li pongono sulle spalle della gente, ma essi non vogliono muoverli neppure con un dito». Come Caino «alzò la mano contro il fratello Abele e lo uccise». Quando Dio chiedeva a Caino dove è Abele, suo fratello, egli soltanto rispose, «Non lo so. Sono forse il guardino di mio fratello?».
La virtù dell’umiltà è come una protezione dell’uomo per custodire la sua vita e la vita dei suoi compagni sulla terra. Quando uno si rende conto dei propri limiti e di stare umile, si percepiscono anche i limiti degli altri; quindi, si nutre la compassione e l’empatia. San Giuseppe è un esempio per questo caso. Dopo la rivelazione mediata dall’angelo nel sogno, san Giuseppe accettava di nuovo Maria ora che era incinta, e si prendeva cura di Gesù bambino come il proprio padre. Nessuna lamentela e nessuna domanda sul perché. L’uomo umile non fa domande fuori della sua finitudine umana, e sempre lascia lo spazio a Dio come il suo Signore per gestire la parte al di là.
Sophia Lilin Wu – studentessa della Pontificia Università Gregoriana, professoressa della Università degli Studi “Gabriele d’Annunzio” Chieti-Pescara.
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