Mt 25, 14-30 racconta una parabola sui “servi ed i talenti”: un padrone di casa prima del suo viaggio aveva dato alcuni talenti ai suoi servi, secondo le capacità di ciascuno. A uno cinque talenti, ad un altro due, ad un altro uno. Quello che aveva ricevuto cinque talenti andò a impiegarli, quindi alla fine ne guadagnò altri cinque; anche quello che ne aveva ricevuti due, ne guadagnò altri due. Però, quello che aveva ricevuto un solo talento, nascose il denaro che non aveva impiegato e quindi non guadagnò nulla. Il discorso è che l’ultimo, mettendo il talento da parte senza impegnarsi, è quello in cui c’è mancanza di fedeltà; mentre i servi fedeli sono quelli che cercano di investirli e così aumentano i propri talenti.
Da questa parabola, si vede che per essere fedeli della chiamata da Dio, uno deve essere consapevole di sviluppare i propri talenti. Perché i talenti sono un dono di Dio, non da mettere da parte, ma per essere fecondi. Ad esempio, se uno è dato il dono di predicare come san Domenico, deve dedicarsi alla predicazione; se uno è chiamato per fare la teologia come S. Tommaso D’Aquino, deve destinarsi per studiare e scrivere sui temi teologici. Se uno come Chopin aveva il talento della musica, lo stesso si deve rivolgere alla musica. La realtà è che a ciascuno di noi sono dati diversi doni; quindi, ognuno deve discernere i propri doni e farli sviluppare. Dunque, uno o due o cinque talenti di per sé non fanno la differenza, ma la differenza è nella diversità dei doni e l’atteggiamento di come affrontare i doni.
Maurice Blondel, grande filosofo francese apprezzato da san Giovanni Paolo II, pubblicava un libro sull’azione. L’azione, per lui, è la realizzazione della missione umana per soddisfare il suo desiderio di cooperare con Dio. Anche attraverso l’azione, l’uomo partecipa alla trinità divina.
La fede cristiana è una fede dell’azione. Secondo san Tommaso D’Aquino, l’azione è frutto della contemplazione. Quando uno è pieno dell’amore, è come l’acqua di un fiume in piena, trabocca. San Giovanni Paolo II vede l’azione come la manifestazione della libertà e responsabilità dell’uomo. L’uomo attraverso l’azione diventa uomo e gode della dignità umana.
«La psicanalisi del profondo ci insegna quanto profondamente la nostra struttura psichica sia costituita dalla memoria, da quella cosciente come anche da quella inconscia. Al di là del livello psicologico della memoria ve ne è però un altro, più metafisico. Noi siamo fatti dalle nostre azioni, attraverso di esse diventiamo uomini migliori o uomini peggiori» (Rocco Buttiglione, presentazione per T. Styczeń, La visione antropologica di Karol Wojtyla, Roma 2005, p. 7).
Alla base delle azioni, il Signore distingueva i servi buoni dai cattivi, come nel giudizio finale. Il vangelo ci chiama ad essere svegli per dedicare il nostro tempo e la nostra vita per sviluppare i propri talenti così ad maiorem Dei gloriam.
Sophia Lilin Wu – dottorando della Pontificia Università Gregoriana.
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