C’è una logica implicita dentro la serie delle parabole di Gesù: in tutte c’è un periodo di tempo vuoto, cioè l’attesa. Ad esempio, le ancelle attendono la venuta dello sposo; i servi aspettando il padrone; anche le pecore e le capre stanno in attesa, ecc. Questo stile del vangelo è il nucleo dell’annuncio; ossia i cristiani vivono un tempo di mezzo: tra la venuta di Gesù Cristo e il secondo avvento (il suo ritorno). Nella domenica di oggi, si racconta un episodio finale – quando sarà compiuto il tempo dell’attesa, quale situazione sarà?
«Quando il Figlio dell’uomo verrà nella sua gloria, e tutti gli angeli con lui, siederà sul trono della sua gloria. Davanti a lui verranno radunati tutti i popoli. Egli separerà gli uni dagli altri, come il pastore separa le pecore dalle capre, e porrà le pecore alla sua destra e le capre alla sinistra» (Mt 25, 31-33).
La puntata finale è una separazione, un giudizio. Coloro che realizzano il bene dalla propria coscienza, troveranno la salvezza e riceveranno una vita eterna; invece, coloro che non seguono i comandamenti di Dio e non saranno fecondi nella carità, verrà tolto il diritto per entrare nella porta del paradiso. Cristo è il Re, colui che è data l’autorità di esercitare questo giudizio finale.
Il greco apokalypsis (ἀποκάλυψις), significa tirare fuori il velo, e gettare via ciò che copre, ossia letteralmente vuol dire scoperta o disvelamento, rivelazione. Mt 25, 31-46 è la rivelazione per tutti noi cristiani. Se il giudizio finale è così concreto, non c’è motivo per non impegnarsi ed essere fecondi, nella carità e nell’obbedienza ai comandamenti, soprattutto nel nutrire l’amore verso i più piccoli.
Quindi, finché abbiamo ancora il tempo dell’attesa, possiamo approfittare. Quando esce la tentazione di pensare male, cercare di pensare bene; quando nel momento siamo arrabbiati, invece di dire una parola cattiva, convertirsi nel dire il bene; quando entra il trauma della tristezza, invece di cadere nella delusione, dirigersi ad abbracciare anche un pezzo di sole della speranza. Perché, quando più uno avrà la vita, avrà anche di più; quando più uno sfugge alla vita, anche quello che ha diminuisce.
«Infatti a colui che ha, verrà dato e sarà nell’abbondanza; ma a colui che non ha, sarà tolto anche quello che ha» Mt 13,12
Così dice San Giovanni Paolo II, «non dobbiamo dimenticare che l’“éschaton”, cioè l’evento finale, cristianamente inteso non è solo un traguardo posto nel futuro, ma una realtà già iniziata con la venuta storica di Cristo. La sua passione, la sua morte e la sua risurrezione costituiscono l’avvenimento supremo della storia dell’umanità. Questa è entrata ormai nella sua ultima fase, facendo, per così dire, un salto di qualità. Si apre per il tempo l’orizzonte di un nuovo rapporto con Dio, caratterizzato dalla grande offerta della salvezza in Cristo»[1].
[1] Udienza di Giovanni Paolo II, 22 aprile 1998, https://www.vatican.va/content/john-paul-ii/it/audiences/1998/documents/hf_jp-ii_aud_22041998.html (accesso: 24.11.2024).
Sophia Lilin Wu – dottorando della Pontificia Università Gregoriana.
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