La seconda domenica di Avvento è una domenica della conversione – la conversione è da parte degli uomini, il modo per cooperare con Dio ed aiutare il Signore. Come il fatto e l’annuncio di Giovanni Battista, «preparate la via del Signore, raddrizzate i suoi sentieri» (Mc 1, 2). Come Etty Hillesum, quando nella Shoah, disse, «quando domani Dio non sarà più in grado di aiutare noi, saremmo noi a dover aiutare Dio». Il momento dell’attesa è il tempo della preparazione. La durata di questo tempo non la possiamo calcolare con la mentalità umana, perché san Pietro apostolo ha già menzionato che «davanti al Signore un solo giorno è come mille anni e mille anni come un solo giorno» (2Pt 3,8). Pertanto, dobbiamo essere vigilanti in questo “frattempo”, tra il cielo e la terra di ora e un nuovo cielo e una nuova terra nell’avvenire. Però, come fare per essere vigilanti?
L’essere vegli, non vuol dire che bisogna cancellare oppure diminuire la necessità del sonno o riposo; anzi, essere vegliante soprattutto è esistere nel «dito di San Giovanni Battista», ossia fare una conversione nella consapevolezza che c’è un Altro che deve venire e da attendere, e colui è l’Alfa e l’Omega di tutto l’universo e la fonte della vita sia terrena sia eterna. Come la conversione di S. Agostino di Ippona e Santa Teresa d’Avila; quando erano ancora giovani, loro cercavano la gioia di questo mondo – vino, relazione sessuale, vestiti, decorazione di corpo, ecc. Nondimeno, una vera conversione anzitutto è una conversione intellettuale, cioè un pentimento per il tempo passato dedicato per le cose temporali invece di impegnarsi per la preghiera, il digiuno e la carità, per essere degni e pronti per la venuta del Signore, ovvero una vita nuova e eterna.
Nel campo di concentramento, il modo con cui Etty Hillesum aiutava il Signore, era proprio l’iniziativa del pregare e dialogare con Dio. Alla base di questa intimità con Dio, Etty diventava un balsamo per ogni ferità umana, soprattutto la sua tranquillità e forte speranza avevano consolato tanto i suoi compagni ebrei accanto nella Shoah. Come lei, mentre il treno stava per partire verso Aushwitz, face volare la sua lettera fuori dal finestrino del treno e disse, «stiamo andando, cantando».
La conversione, per meglio di dire, è un riconoscimento della propria coscienza che Dio esiste; basta questo, ed è già un essere pronti per incontrare il Signore. Invece, il peccato è una continuazione nell’ignorare la dimensione trascendente dell’uomo, perché ignorare la spiritualità dell’uomo equivale a negare Dio. Così diceva S. Giovanni Paolo II:
«Una bella sintesi della creazione sopra esposta si trova nel Concilio Vaticano II: “Unità di anima e di corpo – vi si dice – l’uomo sintetizza in sé, per la stessa sua condizione corporale, gli elementi del mondo materiale, così che questi attraverso di lui toccano il loro vertice» ( Gaudium et Spes , 14). E più avanti: “L’uomo, però, non sbaglia a riconoscersi superiore alle cose corporali ea considerarsi più che soltanto una particella della natura . . . Infatti, nella sua interiorità, egli trascende l’universo» (Gaudium et Spes , 14). Ecco, dunque, come la stessa verità circa l’unità e la dualità (la complessità) della natura umana può essere espressa con un linguaggio più vicino alla mentalità contemporanea».[1]
«Perché, se con la tua bocca proclamerai: “Gesù è il Signore!”, e con il tuo cuore crederai che Dio lo ha risuscitato dai morti, sarai salvo» – Rm 10, 9
Sophia Lilin Wu – dottorando della Pontificia Università Gregoriana.
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[1] S. Giovanni Paolo II, Udienza Generale, Mercoledì, 16 aprile 1986, https://www.vatican.va/content/john-paul-ii/it/audiences/1986/documents/hf_jp-ii_aud_19860416.html (accesso: 09.12.2023).