Come diceva da Papa Benedetto XVI, Mc 1, 40-45 «ci mostra Gesù a contatto con la forma di malattia considerata a quei tempi la più grave, tanto da rendere la persona “impura” e da escluderla dai rapporti sociali: parliamo della lebbra»[1]. La lebbra come una maledizione totale per una persona, tulle le genti si allontanavano da lui e questo succedeva già dai tempi del Levitico, quando il Signore descrive i dettagli sui segni e sintomi della lebbra, nonché sul processo di diagnosi eseguito dai sacerdoti. In questo contesto, i lebbrosi devono fare l’autoquarantena. In seguito, il Levitico descrive anche la liturgia di purificazione per coloro che si sono ripresi dalla lebbra. Miriam, la sorella di Mosé, quando dubitò verso Mosé, venne colpita dalla lebbra come una punizione divina. Dunque, la lebbra è un marchio non accettato da Dio e dagli uomini.
Nel Nuovo Testamento, Gesù si avvicina volontariamente ai lebbrosi, violando apparentemente le leggi dell’Antico Testamento. Questo evento diventa anche un’immagine emblematica che ha influenzato profondamente la vita di San Francesco d’Assisi. Secondo la leggenda scritta da San Bonaventura, l’incontro con i lebbrosi fu inaspettato e, come tutti noi, anche San Francesco all’inizio sentiva orrore e repulsione; però lui non ferma qui come tanti altri, non scappa ed evita questo scontro. San Francesco, ritirandosi in preghiera, fu colto dalla presenza di Gesù Cristo e sentì il dolore nel corpo dei lebbrosi. Di conseguenza, trasformò la sua paura in compassione e accoglienza calorosa. Così, lo scontro tra San Francesco e i lebbrosi diventa un incontro di gioia, un evento della conversione. È vero che i lebbrosi sono malati e impuri, ma se noi pensiamo che loro dovrebbero essere disprezzati e isolati, così anche i nostri pensieri sono malati di lebbra e impuri. È quello che dal di dentro del cuore dell’uomo viene fuori, per sporcare la persona e il mondo (Mc 7, 15).
Perciò, i lebbrosi ci hanno offerto un’opportunità per purificare i peccati interiori, una chance di conversione. E noi dobbiamo ringraziare i malati e i poveri per poter manifestare quello che abbiamo dentro, per fare un esame della nostra coscienza. Pertanto, i santi spesso riconoscono i più deboli nella società come gli amici. Gesù, anche attraverso le persone come i lebbrosi, esprime la Sua divinità e santità. Come ancora diceva Papa Benedetto XVI,
«In quel contatto tra la mano di Gesù e il lebbroso viene abbattuta ogni barriera tra Dio e l’impurità umana, tra il Sacro e il suo opposto, non certo per negare il male e la sua forza negativa, ma per dimostrare che l’amore di Dio è più forte di ogni male, anche di quello più contagioso e orribile. Gesù ha preso su di sé le nostre infermità, si è fatto “lebbroso” perché noi fossimo purificati».[2]
Sophia Lilin Wu, Dottorando di Pontificia Università Gregoriana
[1] Papa Benedetto XVI, “Le parole del Papa alla recita dell’Angelus”, 12.02.2012. https://press.vatican.va/content/salastampa/it/bollettino/pubblico/2012/02/12/0088/00204.html
[2] Ibidem.
Foto: Szpital Centrum Karunalaya, Indie, foto A. Daniliewicz SVD, za www.werbisci.pl