Nella IV domenica di Quaresima, siamo arrivati alla domenica «laetare», in cui i sacerdoti possono mettersi le casule rosa per la celebrazione eucaristica. Il significato di «laetare» viene da Isaia 66,10 «Laetare Jerusalem»:
Laetare Jerusalem et conventum facite omnes qui diligitis eam; Gaudete cum Laetitia, qui in tristitia fruistis, ut exsultetis et satiemini ab uberibus consolationis vestrae.
La gioia di Gerusalemme è la venuta di Messia, colui che i giudei attendono da generazioni e generazioni. Come il discorso tra Gesù e Nicodèmo, la vista di Nicodèmo è in una notte profonda; per amore divino, Dio ha mandato il suo unigenito Figlio, Gesù Cristo per dare la luce al mondo. Chiunque crede in lui avrà la vita eterna e non sarà perduto, chiunque non crede in lui sarà condannato. Se prima gli uomini vivevano nelle tenebre senza via d’uscita o soluzione, ora la luce ci porta tutta la speranza per camminare avanti nella vita. Ecco, «Laetatus sum in his quae dicta sunt mihi: in domum Domini ibimus» (Salmo 122.1).
Tuttavia, come racconta il mito della caverna di Platone, per le genti, coloro che si abituano al buio, non è facile di accettare la realtà di luce. Similmente, i giudei, soprattutto i farisei e coloro che sono abituati alla logica umana, ancora non erano pronti per raccogliere il messaggio di Gesù Cristo. Secondo la loro logica, solo uno con un aspetto attraente e vigoroso poteva essere Messia, come la percezione di Samuele per scegliere il successore. Nessuno pensava che Davide potesse finalmente diventare Re, così anche pochissime persone credono che Gesù sia il Cristo – il Messia e il salvatore.
Per poter godere la gioia della venuta della Luce, ci serve un salto di ragione verso la fede, cioè un’apertura dalla logica umana alla logica di Dio. La fede verso Gesù «esige quando manifesta una potenza divina che supera tutte le forze della natura, per esempio nella risurrezione di Lazzaro (cf. Gv 11, 38-44); la esige anche nell’ora della prova, quale fede nella potenza salvifica della sua croce, come dichiara fin dal colloquio con Nicodemo (cf. Gv 3, 14-15); ed è fede nella sua divinità: “Chi ha visto me ha visto il Padre” (Gv 14,9)»[1]. Anzitutto, chi segue Gesù, «avrà la luce della vita» (Gv 8, 12). In seguito, Nicodèmo che crederà in Gesù, sarà come il profeta del mito della caverna, per annunciare un mondo di luce fuori della caverna e per condurre gli uomini ad uscire dalle tenebre.
Sophia Lilin Wu, Dottorando di Pontificia Università Gregoriana.
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[1] Giovanni Paolo II, Udienza Generale, 28 ottobre 1987. https://www.vatican.va/content/john-paul-ii/it/audiences/1987/documents/hf_jp-ii_aud_19871028.html (accesso: 10.03.2024).