Gli esseri umani seminano, mangiano, dormono, senza rendersi conto, e i semi radicano e germogliano da soli; questo è il mistero della natura, ed è anche il mistero di Dio. La parabola del seme che Gesù ha raccontato serve proprio a farci vedere questo mistero nascosto, e le persone che amano coltivare piante sono attratte da questo mistero della nascita e della crescita dei semi, anche se è solo come un passatempo. Nelle origini più primitive e fondamentali della sopravvivenza umana, come nell’agricoltura e nella coltivazione, le parole di Dio si manifestano facilmente. In realtà, in ogni azione umana, si cela questa verità: l’uomo progetta, ma è Dio che porta a compimento. Pertanto, affidare tutto a Dio è una sapienza suprema: consapevole che in ogni cosa dobbiamo pregare e ringraziare il Signore. È Dio che fa nascere, vivere, crescere il seme, e noi come uomini cooperiamo soltanto al progetto divino per il suo compimento. Anche se abbiamo la scienza per capire la procedura della crescita dei semi, tuttavia, per indagare fino in fondo, ciò rimane sempre un mistero.
Non solo i semi, ma tutte le forme viventi e tutte le faccende seguono la stessa filosofia: Dio dispone, l’uomo propone. Perciò, la presenza di Dio è nell’azione dell’uomo. L’uomo da sé non basta, ma ci vuole sempre la provvidenza di Dio. In questo senso, come per l’uomo, è meglio per noi mantenere sempre un’apertura, invece di chiuderci. Meglio rimanere in uno stupore e accoglienza per tutto, anche al di fuori del nostro controllo. La vita di per sé è un mistero, una dinamica tra finitudine e infinitudine, tra certezza e incertezza, tra dicibile e indicibile…l’antico filosofo cinese Laozi (老子), disse che le supreme virtù sono come l’acqua: così morbida, segue il suo corso naturale, è umile, disponibile ad adattarsi in qualsiasi momento, mai dominante, mai presuntuosa, sempre riservata a uno spazio sacro per le possibilità e l’ignoto.
Dal mistero del seme, possiamo anche vedere un’antropologia trascendente; ossia trascendenza e immanenza. Nel seme, la trascendenza di diventare un albero è già dentro la sua essenza. L’uomo, anche se i suoi piedi ancora poggiano alla terra, ma lo Spirito, l’anima, ha da tempo consentito all’umanità di toccare il cielo. Come scrive William Blake, «Vedere un mondo in un granello di sabbia, e un paradiso in un fiore selvatico» (Auguries of Innocence). Dunque, il cielo di Dio è dentro un granello di senape, «quando viene seminato sul terreno, è il più piccolo di tutti i semi che sono sul terreno; ma, quando viene seminato, cresce e diventa più grande di tutte le piante dell’orto e fa rami così grandi che gli uccelli del cielo possono fare il nido alla sua ombra» (Mc 4, 31-32).
Sophia Lilin Wu, Dottoranda di Pontificia Università Gregoriana.
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