La vita umana è un teatro, laddove non è tutto come immaginiamo. Come ha scoperto il filosofo francese Maurice Blondel, il nostro essere e azione è oltre il nostro pensiero. La vita di per sé è un mistero, soprattutto quando affronta la tempesta. In seguito, si sente la paura, l’angoscia, il disturbo, e tutte queste emozioni forti ci richiedono un grido per l’aiuto della salvezza. Solo Gesù, consapevole che Dio è totalmente più grande della tempesta, rimane in pace e tranquillità.
La prima lettura Gb 38,1.8-11, ci dimostra l’onnipotenza di Dio che può chiudere le due porte del mare, ossia controlla la natura e stabilisce limiti e ordine al cosmo. È Dio che domina tutto. Senza il comandamento di Dio, anche le onde non possono superare il limite. La seconda lettura 2Cor 5,14-17 esprime l’amore di Gesù Cristo con il suo sacrificio, che ci dona una vita nuova e possiamo essere persone nuove.
Quindi, in Mc 4, 35-41, si vede da Gesù, l’onnipotenza divina e la tenerezza umana, che non soltanto ferma la tempesta, ma anche consola i suoi discepoli che stavano in grande paura. La relazione con Gesù è un’evoluzione del conscio umano, per approfondire la propria fiducia a colui che è veramente il Signore.
Nella vita quotidiana, la tempesta è un’occasione dell’epifania e un esercizio della fede con una vera esperienza. San Giovanni della Croce scrisse,
«Notte che mi guidasti,
oh, notte più dell’alba compiacente!
Oh, notte che riunisti
L’Amato con l’amata,
amata nell’Amato trasformata!»[1]
Ecco, la notte della tempesta può anche trasformarsi come un’unione tra l’Amato con l’amata, Dio e l’uomo, Sacro e profano, Infinitudine e finitudine. San Giovanni Paolo II disse:
«A sua volta, la tempesta sedata sul lago di Genesaret può essere riletta come “segno” di una costante presenza di Cristo nella “barca” della chiesa, che molte volte nel corso della storia viene esposta alla furia dei venti nelle ore di tempesta. Gesù, svegliato dai discepoli, comanda ai venti e al mare e si fa una grande bonaccia. Poi dice loro: “Perché siete così paurosi? Non avete ancora fede?” (Mc 4, 40). In questo, come in altri episodi, si vede la volontà di Gesù di inculcare negli apostoli e nei discepoli la fede nella sua presenza operatrice e protettrice anche nelle ore più tempestose della storia, nelle quali potrebbe infiltrarsi nello spirito il dubbio sulla sua divina assistenza. Di fatto nella omiletica e nella spiritualità cristiana il miracolo è stato spesso interpretato come “segno” della presenza di Gesù e garanzia della fiducia in lui da parte dei cristiani e della Chiesa»[2].
Sophia Lilin Wu, dottoranda di Pontificia Università Gregoriana.
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[1] San Giovanni della Croce, «Strofe dell’anima» n. 5, in La notte oscura. http://www.cristinacampo.it/public/san%20giovanni%20della%20croce,%20la%20notte%20oscura%20,%20testo%20integrale..pdf (accesso: 22.06.2024).
[2] Giovanni Paolo II, «Udienza Generale», 2 dicembre 1987, https://www.vatican.va/content/john-paul-ii/it/audiences/1987/documents/hf_jp-ii_aud_19871202.html (accesso: 22.06.2024).