Sua Eminenza il Cardinale Kurt Koch, Prefetto del Dicastero per la Promozione dell’Unità dei Cristiani e Presidente della Giuria del Premio San Giovanni Paolo II; Su Eminenza il Cardinale Mario Zenari, Nunzio Apostolico in Siria; Reverendo Monsignor Pawel Ptasznik, Presidente della Fondazione Vaticana Giovanni Paolo II; Eccellenze reverendissime, cari Fratelli sacerdoti, religiosi e religiose; Cari fratelli e sorelle, membri e amici della Fondazione, e amici provenienti dall’Italia, dalla Germania e dai Paesi del Medio Oriente.
Vorrei innanzitutto esprimere tutta la mia gratitudine e il mio sincero riconoscimento per l’organizzazione di questo evento straordinario, e ringraziare, attraverso di voi, Sua Santità Papa Leone XIV.
Grazie per la vostra fedeltà allo spirito del fondatore, e grazie di cuore anche per questo premio, che costituisce una nuova motivazione per la nostra missione al servizio della Chiesa e dell’evangelizzazione.
Questo riconoscimento da parte della Chiesa Universale è destinato al lavoro spirituale, sociale e intellettuale svolto dalla Chiesa in Siria, in tutte le sue componenti. È la Chiesa che, durante gli anni difficili, ha condotto una nobile lotta in favore della dignità umana su tutto il territorio siriano. Desidero ricordare in modo particolare i giovani che hanno operato nel campo umanitario, accanto a vescovi, sacerdoti, monaci e suore. Ricevo questo premio a nome di tutte queste persone.
Oltre al suo valore personale, ritengo che questo premio abbia una dimensione comunitaria ed ecclesiale. Esso è, in realtà, un premio dedicato alla Chiesa di Siria. Costituisce anche un segno importante per le relazioni ecumeniche e per il dialogo interreligioso. Questa scelta riflette il cammino della Chiesa in Siria lungo i secoli, un cammino segnato da un impegno profondo nel dialogo con i musulmani, un impegno radicato nell’insegnamento di Gesù.
La comunità cristiana in Siria ha compreso fin dalle origini la sua missione: essere testimone vivente del messaggio di salvezza. Ha riconosciuto di essere chiamata a vivere l’amore, il perdono e la ricerca del bene. Tutto ciò si traduce nell’accoglienza incondizionata, nella rettitudine del lavoro quotidiano e nell’apertura sincera alla diversità.
Siamo consapevoli delle origini cristiane di molti musulmani, i quali hanno abbracciato l’Islam per diverse ragioni che non approfondiremo qui. Questa consapevolezza ci invita a rinnovare il nostro sguardo e a riscoprire i legami che ci uniscono, riconoscendo nei musulmani non estranei, ma fratelli nella fede in Dio unico e vero (Gv 17:3) e compagni di cammino verso la verità e la pace.
Oggi più che mai, in Siria, cristiani e musulmani siamo chiamati a riconoscere e a migliorare i legami che ci uniscono. Le nostre tradizioni religiose condividono la convinzione del carattere sacro della vita e della dignità della persona umana. Insieme a tutti gli uomini e le donne di buona volontà, aspiriamo alla pace. Desidero ribadire con forza che la ricerca teologica, il dialogo interreligioso e interculturale non sono un’opzione, ma una necessità vitale per il nostro tempo, soprattutto per la Siria, ancora ferita dalla guerra.
Situata al centro del Levante, la Siria occupa un ruolo fondamentale nella storia, nella cultura e nella vita di tutta la regione. Allo stesso modo la città di Homs, Emaesa, situata nel cuore della Siria: rappresenta la più grande diversità cristiana del territorio e un centro vitale per la vita sociale, culturale e religiosa del paese. Entrambi questi luoghi non sono solo centrali dal punto di vista geografico, ma simbolicamente imprescindibili per comprendere l’identità, la storia e le speranze di questa terra.
In questo momento non posso non pensare alla città simbolica che si trova a cinquecento chilometri da noi: Gerusalemme, Al-Quds, che continua a gridare il suo dolore di fronte all’ingiustizia e alla violenza illogica e inaccettabile.
Gesù ha tracciato la via della croce e ha preso su di sé le sofferenze del mondo. Con il suo sacrificio, ha pagato il prezzo dei peccati dell’umanità, donando la salvezza a tutti.
Nel Medio Oriente, da anni, viviamo portando la croce del dolore, della guerra, della morte, e della distruzione. Portiamo la croce della povertà, della fame, dell’indigenza, e del dolore di essere privati dei diritti fondamentali — in primo luogo del diritto ad avere una patria sicura che garantisce la libertà e l’uguaglianza per tutti i suoi cittadini.
Oggi, purtroppo, molti di noi si sentono stranieri nel proprio paese, a causa dei conflitti religiosi, politici ed etnici alimentati dalle grandi potenze, che ritengo direttamente responsabili di quanto accade nella regione. La mancanza di una prospettiva positiva ed ottimista sul futuro spinge molte persone a emigrare, alla ricerca di un luogo dove poter vivere con dignità e, soprattutto, in sicurezza.
La Siria, dopo anni di sofferenza, avanza con passi molto timidi verso un vero cambiamento. Ha bisogno di solidarietà e sostegno concreto, non solo per dividere le risorse o ottenere accordi di facciata, ma per camminare con più forza verso un futuro di riconciliazione e di democrazia. In questo percorso, la Chiesa Universale, ispirata dall’esempio e dal carisma di Papa Giovanni Paolo II, può svolgere un ruolo significativo, accompagnando le comunità e incoraggiando il cammino verso la libertà, la giustizia e la coesione sociale.
Eppure, siamo un popolo credente, e dunque un popolo che spera: questa è la nostra testimonianza al mondo. Vogliamo che la nostra speranza perseverante sia un appello a rinnovare l’impegno internazionale per la costruzione di una pace autentica.
Rendo grazie a Dio per la sua Chiesa, che attraverso la sua missione continua a combattere ogni forma di ingiustizia e di male, divenendo segno per eccellenza di speranza cristiana.
Ringrazio la Chiesa Universale, nella persona del Sommo Pontefice Leone XIV, e la fondazione di papa Giovanni Paolo II per il loro costante impegno nel promuovere iniziative di dialogo e di riconciliazione al servizio della pace.
Dedico questo premio, anzitutto, a padre Paolo Dall’Oglio, pioniere del cammino e della missione del nuovo dialogo in Siria, fondato sull’insegnamento del Vangelo e sul magistero della Chiesa Cattolica, e messaggero dell’amore di Cristo per i musulmani.
Lo dedico anche alla mia comunità monastica di Mar Musa, che dalla sua fondazione nel 1991 (mille novecento novanta uno) continua la sua missione di ospitalità e di accoglienza di tutti nel nome di Cristo, in particolare verso i musulmani, organizzando regolarmente incontri di dialogo teologico, umano e culturale, per costruire ponti di comprensione e riaccendere la fiamma della fede nei cuori dei credenti.

Dedico infine questo premio alla Chiesa di Homs, e in modo speciale ai giovani, testimoni di speranza, che si impegnano generosamente nella missione umanitaria verso tutti i fratelli, senza distinzione né discriminazione.
Questo riconoscimento ci incoraggia a proseguire il cammino, con l’intercessione di San Giovanni Paolo II, per promuovere la civiltà dell’amore e della pace.
Che l’Onnipotente vi ricolmi delle sue grazie e benedizioni!
Grazie per avermi ascoltato: la vostra attenzione è per me un segno concreto di solidarietà evangelica e di comunione fraterna.
Mons. Youlian Jacques Mourad, Arcivescovo di Homs, Hama e Neck per i cattolici siriaci; Sala Regia, il 18 ottobre, 2025